Totò Martello, lei è il sindaco di Lampedusa, un’isola conosciuta non solo per le sue bellezze naturali ma anche per l’impegno in prima linea sul fronte dell’accoglienza. Ma il nome di Lampedusa è legato anche ad una data, quella del 3 Ottobre.
Il 3 Ottobre del 2013 è una data che resterà scolpita dentro tutti noi lampedusani, e non solo. Poco prima dell’alba un barcone con a bordo più di 500 persone è affondato quando era ormai a poche centinaia di metri dalla nostra costa. Morirono più di 360 fra donne, uomini e bambini. È stata la più grave strage di migranti del Mediterraneo. Ricordo quella giornata, i corpi venivano recuperati in mare e distesi sulla banchina del porto. Non sapevamo, all’inizio, quanti fossero: ci siamo resi conto dell’enormità della tragedia quando ci dissero che erano perfino finiti i sacchi di plastica nei quali custodire i cadaveri. È inaccettabile morire così.
Nell’ambito del progetto europeo “Snapshots from the borders”, che vede il Comune di Lampedusa e Linosa nel ruolo di ente capofila e mette insieme 35 partner di 13 paesi UE – fra questi 19 isole e città di frontiera, impegnate in prima linea nell’accoglienza – abbiamo avviato una campagna per chiedere che il 3 Ottobre diventi “Giornata Europea della Memoria e dell’Accoglienza”, in ricordo di tutte le vittime delle migrazioni. Perché se vogliamo evitare che in futuro si ripetano tragedie simili, abbiamo il dovere di coltivare la memoria di ciò che è accaduto. Un altro obiettivo del progetto è diffondere una migliore conoscenza del fenomeno migratorio, che troppo spesso viene schiacciato e semplificato dalla cronaca e dal racconto giornalistico con una narrazione che riduce tutto al “numero degli sbarchi”. Ma “gli sbarchi”, o gli arrivi ad una frontiera, rappresentano solo una tappa di un lungo percorso. Le migrazioni sono complesse, vanno conosciute per poter essere prima governate dalle istituzioni, e poi anche accettate dall’opinione pubblica. Questo tema andrebbe sottratto alla speculazione politica, invece purtroppo è stato trasformato in un cavallo di battaglia ad uso e consumo di alcune forze politiche che agiscono, dentro e fuori le istituzioni, in modo a dir poco spregiudicato. Bisogna reagire a tutto questo, iniziando finalmente a parlare del tema delle migrazioni in modo costruttivo e soprattutto slegato dalla finalità di inseguire il consenso.
Let's not forget what happened on 3rd October 2013. Let's make 3rd October the Day of Memory and Welcome.#Lampedusa #shipwreck #migrants pic.twitter.com/abhYnRJIwk
— No more bricks in the Wall (@SnapshotsEU) October 1, 2020
Costruire città e comunità inclusive è uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Quali iniziative hai messo in atto nella tua città per includere i migranti e promuovere la solidarietà? Avresti le migliori pratiche da condividere con altre città europee in questo campo?
Lampedusa è una realtà particolare, diversa da tutto il resto e al tempo stesso emblematica, perché è una vera isola di frontiera. E l’esperienza della comunità lampedusana può essere un importante punto di riferimento per tutte quelle realtà che si trovano a dover fronteggiare emergenze umanitarie più grandi di loro. Uno degli aspetti principali è proprio questo: i territori di frontiera non possono affrontare situazioni straordinarie con strumenti ordinari, hanno bisogno di strumenti specifici, hanno bisogno di un supporto mirato da parte dei governi nazionali e delle istituzioni comunitarie.
Se c’è un insegnamento che l’emergenza sanitaria Covid19 ci sta fornendo, è che se si vogliono sostenere processi di accoglienza ed integrazione, bisogna al tempo stesso sostenere le comunità locali che per prime si trovano a dover fare i conti con tutto ciò che è legato all’arrivo di migranti. Faccio un esempio concreto: se vuoi che la tua cittadinanza accetti il fatto che un governo “spende dei soldi” per poter soccorrere e curare dal punto di vista sanitario i migranti che arrivano nel tuo Comune, devi poter fornire alla popolazione residente strutture sanitarie di qualità. Altrimenti rischia di passare il messaggio che la sanità “c’è per i migranti, ma non c’è per la comunità locale”.
Boat arrivals in #Lampedusa. “All the pressure stands on Lampedusa’s shoulders at the moment". At the same time, the #UN has warned that the #pandemic is leading to a rise in #HateSpeech, #xenophobia, and #stigmatisation.https://t.co/r6NH0EJQv5@newhumanitarian
— No more bricks in the Wall (@SnapshotsEU) September 7, 2020
A Lampedusa manca un vero e proprio un ospedale, abbiamo solo un Poliambulatorio, quindi se hai un problema di salute che necessita di un intervento specifico, non chiami l’ambulanza, chiami l’elicottero che ti porta a Palermo. Questo naturalmente è solo un esempio, limitato ad un aspetto: ma ci sono molti altri “effetti collaterali” determinati dall’arrivo di migranti in un Comune, che vanno presi in considerazione sotto diversi punti di vista.
Qui a Lampedusa subiamo le conseguenze determinate dalle imbarcazioni dei migranti, dopo che vengono utilizzate per la traversata. Molte di queste sono state affondate in mare aperto: il risultato è che nel Mediterraneo, di fronte Lampedusa, c’è un cimitero di relitti sui fondali, relitti che provocano ingenti danni ai pescherecci delle nostre marinerie, alle loro reti ed alle attrezzature. Nell’ultimo periodo le traversate avvengono spesso con piccoli barchini, che una volta arrivati vengono accumulati in porto: scattano una serie di adempimenti burocratici legati al sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria, e passa tempo prima che vengano rimossi. Nel frattempo questo tappeto di barchini dentro il porto determina pericolo per le persone e per le altre imbarcazioni, oltre che un problema dal punto di vista ambientale.
Tornando ad un discorso più generale, dico che c’è bisogno di regole chiare, di automatismi condivisi che ti permettano di non trovarti sempre ad “inseguire l’emergenza”. In questo senso a mio parere bisogna ripartire dai contenuti del “Global Compact for Migration”, il documento delle Nazioni Unite che detta i principi per una migrazione “ordinata, regolare e sicura”.
Crediti fotografici: Antonello Ravetto Antinori
Quali sono le sue aspettative e richieste per una vera politica dell'Unione europea in materia di migrazione e asilo, alla luce delle proposte della Commissione europea presentate la scorsa settimana?
A Lampedusa stiamo seguendo con attenzione il dibattito in corso sul nuovo Patto UE per la migrazione e le regole di asilo, che sostituirà il regolamento di Dublino e che è giunto ad una fase delicatissima: se le recenti dichiarazioni del presidente della commissione europea Ursula von der Leyen sono incoraggianti, specie quando ribadiscono esplicitamente il principio di “salvare le vite in mare”, non vedo al momento posizioni condivise ed altrettanto chiare su altri aspetti.
Non vedo, ad esempio, riferimenti espliciti per il sostegno alle città ed alle isole di frontiera, esposte in prima linea sul versante della prima accoglienza. Anche per questo motivo, sempre nell’ambito del progetto “Snapshots from the borders”, abbiamo creato il BTIN (“Border Towns and Islands Network”) un vero e proprio network che riunisce le voci, le richieste e le proposte dei territori di confine, e che potrebbe dare un importante contributo al dibattito in corso.
Da quel che al momento si sa del nuovo Patto, si intende accogliere i rifugiati che avranno diritto d’asilo, mentre per i cosiddetti “migranti economici” è previsto il rimpatrio. Ma se prendiamo il caso di Lampedusa, dove la quasi totalità delle persone che sbarcano rientrano, appunto, nella categoria dei migranti economici, dove si pensa di ospitarli durante le “12 settimane” che, in base alle indicazioni del Patto, saranno necessarie per la verifica dei requisiti di ciascun migrante?
Mi pare di capire che questo aspetto viene lasciato alla discrezionalità dei singoli Paesi di arrivo, quando invece credo che debba essere regolamentato con meccanismi condivisi ed automatici, altrimenti si rischia di appesantire ancora di più le Città e le Isole di frontiera che, lungo i confini dell’Europa, si trovano ad essere il “luogo di arrivo” dei flussi migratori. Per questo ho definito “miope” il documento illustrato nei giorni scorsi a Bruxelles, un documento che rischia di limitarsi ad enunciazioni di principio che, se non incideranno nelle dinamiche reali, sono destinate a restare sul piano della “propaganda”. Ma attenzione, non l’ho detto con l’intenzione di “bocciare” il Patto, anzi, sono intervenuto con la volontà di migliorarlo.
Concludo con una riflessione: nelle dichiarazioni pubbliche di alcuni leader politici, soprattutto sul tema dei flussi migratori, sono state ormai sdoganate parole cariche di odio che poi si ritrovano sempre più spesso nel linguaggio comune, così come in quello dei social network. Bisogna tenere conto delle paure della gente, della diffidenza, delle preoccupazioni che a vari livelli attraversano le nostre comunità e che oltretutto sono aumentate per gli effetti dell’emergenza sanitaria Coronavirus.
Ma è un errore tollerare l’intolleranza, restando immobili di fronte a chi la inietta nella nostra società. Bisogna spiegare ai cittadini la verità delle cose, smontando le mistificazioni e le falsità che troppo spesso vengono raccontate per diffondere paure e divisioni. Bisogna sforzarsi di radicare i valori della solidarietà e del rispetto dei diritti umani e civili di ciascun individuo, contrastando le pericolose folate di odio sociale sobillate dalle destre sovraniste che rischiano di mettere in discussione gli stessi principi fondativi dell’Unione Europea.
Totò Martello è sindaco di Lampedusa e Linosa dal giugno 2017. Fa parte della Lista Civica “Susemuni”.
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Crediti fotografici: Unsplash / Enrica Tancioni